Studio di Musica Antica Antonio Il Verso
Gabriel Garrido direttore
Antiche musiche elleniche
€12,00
Tracklist
Pindaro
- Ode pitica prima (470 a. C.) versi 1-5:
Athanasius Kircher Musurgia Universalis, Roma 1650: da un antico manoscritto del monastero del SS. Salvatore in Messina, poi perduto 1:32
Euripide
- Oreste (408 a. C.) versi 338-44: nel primo stasimo
Papiro viennese G2315 “Arciduca Ranieri” 0:50
Stele di Sicilo (I secolo d.C.)
- Stele marmorea trovata ad Aldini, presso Trailes: ora al museo Nazionale di Copenaghen 1:26
Ateneo
Inno delfico primo (138 a. C.)
Inciso sulle pareti marmoree del tesoro degli Ateniesi a Delfi; oggi al Museo di Delfi
- Prima parte: invocazione
- Seconda parte: canto, suono, profumo
- Terza parte: il dio profeta e guerriero
Limenio di Thoino Ateniese
Inno delfico secondo (128 a. C.)
Inciso sulle pareli del Tesoro degli Ateniesi a Delfi: oggi al Museo di Delfi
- Prima parte: invocazione 0:52
- Seconda parte: la nascita del dio 0:44
- Terza parte: epifania ad Atene 0:22
- Quarta parte: Paulo, la cetra, l’eco 0:34
- Quinta parte: il dio profeta 0:35
- Sesta parte: invocazione 0:24
- Settima parte: il dio guerriero 0:23
- Decima parte: preghiera e danza finale 0:57
Mesomede di Creta
Musico di corte dell’imperatore Adriano (da numerosi codici dei secoli XIII-XVII: editio princeps di Vincenzo Galilei, Dialogo della musica antica e moderna, Firenze 1581)
- Invocazione alla Musa 0:49
- Inno al Sole – introduzione parlata della corifèa 0:38
- Inno al Sole – canto del coro 1:48
- Invocazione a Calliope e ad Apollo 0:29
- Inno a Nèmesi 1:33
- Inno Cristiano d’Ossirinco del IV-V scc. d.C. (Papiro d’Ossirinco 1786) 1:51
Artisti
Etichetta
Quadrivium (SCA 043)
Collana
Anno
1999
Nell’antichità non esiste il concetto di musica come tipo differenziato d’arte. Musica è un aggettivo, e (sottintesa tèchne) significa “(arte) delle Muse”. Le Muse erano nove sorelle, figlie di Zeus e della Memoria, e ciascuna tutelava uno o più generi poetici (letteratura, storia, filosofia, scienze). Apollo, il musagete, ne era compagno inseparabile, guida, anima: egli appunto rappresenta con la sua lira l’aspetto precipuamente sonoro che oggi concepiamo come musica. La musica consisteva quindi allora nella realizzazione sonora della poesia, nell’esplicazione artisticamente controllata degli atti linguistici, di determinati discorsi verbali. La struttura fonematica della lingua era tale da dare ai discorsi qualità melodiche: le sillabe erano sostanzialmente differenziate da dimensioni ritmiche (durata: breve o lunga) e meliche (altezza: accento acuto, grave, circonflesso), oltre che timbriche (qualità di vocali e consonanti). La voce cantante si differenzia dalla parlante – ci insegna Aristosseno – per la precisa intonazione delle sillabe sui gradi di una scala di suoni prefissata e per l’esatta misura dei rapporti di durala. Tali procedimenti erano peraltro determinati dall’applicazione di un nómos, legge, modulo melodico tradizionale.
I massimi monumenti musicali antichi, i due grandi Inni delfici, basati entrambi su una stessa struttura metrica (peana in cretici e peonici, prosodio in gliconei) e su un unico nómos (il “pitico”) dimostrano meravigliosamente questa prassi: essendo canti liturgici, possiamo assumere che rispettino tradizioni assai più antiche. Anche la bella melodia della Stele di Sicilo testimonia la stessa “costituzione logica’’, derivando sostanzialmente dalla fonetica delle parole intonate. Ma un gruppo di poeti, che noi chiameremmo “espressionisti”, fioriti tra la metà del V e il principio
del IV secolo a. C., “reputa degno sottordinare le parole al melos e non il melos alle parole, come è chiaro… specialmente dai mele di Euripide”: è Dionigi d’Alicarnasso, retore d’età augustea ad informarcene, con evidente compiacimento e piena approvazione; e riporta i versi 140-42 dell’Oreste, indicando la discrepanza tra la melodia composta e il melos e il ritmo verbali. Un esempio analogo ci dà il frammento melodico sui versi 338-44 della stessa tragedia, che possiamo leggere su un papiro della fine del III secolo a. C.: è assai verisimile che si tratti proprio della melodia originale. La melodia sui versi 1 -5 della Pitica prima di Pindaro, conservataci da un dotto gesuita del XVII secolo, è invece probabilmente una ricostruzione tardoantica o bizantina. È ad ogni modo tra le più soavi e suggestive che la storia della nostra civiltà possa vantare.
Di Mesomede di Soli, cretese, musico di corte dell’imperatore Adriano, ci sono pervenute tredici poesie, quattro delle quali con notazione melica: due proemi e due inni. Gli inni hanno la stessa struttura ritmica: paremiaci, cioè dimetri anapestici catalettici. Le quattro melodie sono frutti delle correnti classicheggianti all’inizio del II secolo d. C.: la lingua comincia ad esaurirsi come miniera di musica, l’accento melico cede all’ictus percussivo, la quantità sillabica s’offusca, e l’estrazione delle melodie secondo gli antichi procedimenti diventa un’operazione accademica. L’inno cristiano d’Ossirinco è della larda antichità: si tratta di un épainos, cantico di lode, esprimente l’ammirazione di tutte le creature per il Creatore. La melodia sembra muoversi autonoma sulla struttura anapestica del testo: è già basata sugli accenti percussivi coi quali la tesi ritmica (segnata dallo speciale punto, detto stigme) è ormai assimilata. Vocalizzi rivestono iridescenti le parole liturgicamente più importanti, come gli “amen” finali. Siamo già agli inizi dell’innodia bizantina.
Paolo Emilio Carapezza